Fertili e rigogliose, le campagne salentine spiccano anche per la produzione olivicola. Interessanti testimonianze della civiltà frantoiana è custodita nel celebre “Museo delle tradizioni popolari” dell’Abbazia di Santa Maria di Cerrate, in territorio di Squinzano, a nord di Lecce, dove si possono ammirare due frantoi sotterranei di epoca medievale con le vasche per la macine delle olive ancora nella loro posizione originaria. Avremo l’impressione di entrare in un luogo vivo, in cui si avverte ancora la fatica estenuante degli uomini e degli animali che si affannano attorno alle ruote di pietra per la molitura delle olive.
“I semi del fuoco” era il nome attribuito alle olive salentine, in passato considerate di qualità scadente per la produzione di extravergine tanto da essere destinate alla produzione di olio lampante. Si pensi che, in tempi non troppo lontani, quest’area della Puglia illuminava con il suo olio l’intera città di Londra. Ma l'interesse commerciale dell’intero bacino del Mediterraneo per l’olio del Salento è testimoniato in epoche ancor più antiche: il libro ufficiale della città di Gallipoli custodisce un diploma del 1327 del Re Roberto d'Angiò che concede alla città l'esenzione di tutti i tributi per la macina delle olive.
Nel XIX secolo i frantoi ipogei furono progressivamente dismessi e sostituiti, ma restano con la loro immobile spazialità, testimoni della civiltà rurale. Imperdibili, in tal senso, le visite al Frantoio Granafei di Gallipoli o al Frantoio Caffa di Vernole.
Sopravvivono, invece, allo scorrere del tempo le parole di numerosi poeti dialettali salentini che hanno ispirato le proprie composizioni al lavoro durissimo dei “trappitari” (i frantoiani), dell’“anichirio” (il capomastro del frantoio) e della “ciuccia” (l’asina), è legata gran parte della produzione poetica popolare in lingua dialettale del Salento.